28/03/2024
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L’Eritrea conferma la propria partecipazione

L’Eritrea parteciperà a Expo 2015.

Finora hanno aderito oltre a Italia e Onu, Svizzera, Montenegro, Azerbaijan, Turchia, Romania, San Marino, Egitto, Perù, Russia, Uruguay, Togo, Germania, Guatemala, Cambogia, Honduras, Mauritania, Slovenia, Principato di Monaco, Uzbekistan, Spagna, Albania, Israele, Kuwait, Colombia, Armenia, Siria, Iran, Gabon, Senegal, Seychelles, Sierra Leone, Mongolia, India, Georgia, Bolivia, Santa Lucia, Lettonia, Tunisia, Argentina, Lituania, Congo, Ucraina, Bielorussia, Kazakhstan, Sri Lanka, Mali, Algeria, Dominica, Belgio, Repubblica di Palau, Micronesia, Ecuador, Cina, Cile, Emirati Arabi Uniti, Mozambico, Bangladesh, Repubblica Dominicana, Moldova, Nepal, Qatar, Thailandia, Libano, Slovacchia, Tagikistan, Francia, Guinea Bissau, Oman, Corea del Sud, Kirghizistan, Pakistan, Vietnam, Saint Vincent and the Grenadines, Haiti, Uganda, Giappone, Palestina, Austria, Arabia Saudita, Eritrea, Costa Rica e Kenya.

Come ha detto Claudia Sorlini, comitato scientifico Expo 2015 e preside della Facoltà di Agraria dell’Università di Milano, durante una tavola rotonda “Corsa alla terra fra sicurezza alimentare e energia per la vita” promossa lo scorso 2 maggio con Ispi e Action Aid International, la partecipazione dei Paesi in via di sviluppo avverrà, come promesso, “senza tamburi e senza lance”, perché si possa avviare un proficuo incontro tra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo.

La biodiversità dei Paesi in via di sviluppo, la presenza di prodotti alimentari nati senza aiuti “tecnologici” porterà a conoscere territori, storia, abitudini alimentari “diverse” ma non per questo meno importanti.

L’organizzazione di Expo 2015 accoglierà i Paesi in via di sviluppo all’interno di cluster predisposti per facilitare una partecipazione basata su interessi condivisi, aspetti geografici simili, prodotti analoghi; sono già pronti i cluster dei Paesi del riso, del caffè, del cacao mentre il Kenya ha partecipato a un primo incontro promosso dal cluster del caffè, settore fondamentale per la sua economia. Expo 2015 non sarà solo una vetrina poiché intende denunciare il land grabbing, l’accaparramento di terre nel sud del mondo.

Infatti dal 2006, da quando sono saliti i prezzi di grano, riso, soia, assicurarsi la terra dove costa poco è diventato un affare per i Paesi ricchi o emergenti.

Come spiega Action Aid, il land grabbing viola i diritti umani, non consulta la comunità locale e non valuta l’impatto ambientale del progetto.

Scrive Franca Roiatti (Il nuovo colonialismo, Università Bocconi Editore, 2010):

”Le acquisizioni di terra non sono un investimento come tutti gli altri. Tante sono le implicazioni economiche e politiche, troppi i risvolti sociali”.

Difficile avere dati in merito perché spesso i Paesi che attuano land grabbing preferiscono evitare la trasparenza.
L’accaparramento di terre impone tecniche agronomiche, sementi, macchine agricole, prodotti chimici distanti dalla cultura locale e dalla formazione di addetti che devono essere semplice manovalanza.

Le famiglie sono estromesse dai propri villaggi e l’agricoltura di sussistenza è smantellata per consentire una produzione che non porterà alcun beneficio al Paese.

Questo tipo di sviluppo agricolo preferisce la monocoltura che azzera la biodiversità e distrugge le foreste, come accaduto in Indonesia. Il problema endemico della siccità peggiora con la sottrazione di risorse idriche che passano dai piccoli agricoltori alle grandi proprietà.

In alcuni paesi come Etiopia e Niger nei terreni e nei fiumi è aumentato l’inquinamento da composti agro-chimici.
Dal punto di vista sociale il land grabbing per i piccoli proprietari è una calamità; la terra non può essere considerata una semplice materia diversamente da petrolio e diamanti, così la consuetudine all’utilizzo di terreni senza certificato di proprietà può facilitare accordi di vendita o affitto a scapito del piccolo proprietario.
I Paesi che maggiormente acquistano terreni anche se per motivi differenti, (biofuel o aumento delle richieste alimentari del mercato interno) sono i Paesi del Golfo che non hanno terra fertile, l’India, la Cina, il Brasile, gli Stati Uniti, il Canada e l’Unione europea, mentre i Paesi che subiscono o i cui governi collaborano alla sottrazione di terre sono quelli in cui maggiore è la povertà.

Il land grabbing non avviene su terreni marginali ma su terre dove già si produce con una buona resa, e dove ci sono infrastrutture che grazie ad accordi di “diplomazia commerciale”, possono essere migliorate a beneficio della popolazione.

Infatti, come contropartita per le terre ricevute, gli investitori offrono la realizzazione di strade, canali di irrigazione, porti e promettono la creazione di posti di lavoro. Tuttavia è lecito interrogarsi sulla disparità di competenze legali e negoziali fra grandi società e Paesi in via di sviluppo.

Molti di questi temi e altri connessi (biocarburanti, sicurezza alimentare, lotta agli sprechi, diritto all’acqua…) saranno toccati nei convegni e nei dibatti organizzati all’interno dell’Expo per sensibilizzare la società civile internazionale e nazionale e le numerose istituzioni che vi parteciperanno e perché sia chiaro che la prima libertà di un popolo è l’affrancamento dalla schiavitù della fame.

A contribuire alla corsa alla terra vi è il crescente consumo europeo di biocombustibili, guidato dall’obiettivo stabilito nella Direttiva sulle Energie Rinnovabili del 2009 che prevede per il 2020 un consumo di energia da fonti rinnovabili pari al 20% del totale.

Questa situazione determina l’aumento della richiesta di terra per biocombustibili, perché l’Ue, al suo interno, non ha abbastanza terreni agricoli per soddisfare la domanda. Un dato: l’obiettivo europeo del 10% di carburante proveniente da fonti rinnovabili, secondo la Banca mondiale, significherebbe l’uso di 17,5 milioni di ettari di terra, una superficie equivalente alla metà dell’Italia.