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Papa Francesco e l’emorragia africana

Marilena Dolce
16/07/13
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di Joannes Bein

L’omelia di Papa Francesco a Lampedusa, inusitata e coraggiosa, ha fatto emergere come rare volte è accaduto da un pulpito così importante, la simbiosi antistorica e razzista che caratterizza il modo di pensare che in Occidente rappresenta artificiose differenze di tipo politico e culturale.Papa Francesco a Lampedusa

In seguito alla sua visita e alle parole espresse in quella sede non sono potuti mancare i commenti dei media.

Le parole di Papa Francesco «ho sentito che dovevo venire qui oggi a pregare, a compiere un gesto di vicinanza, ma anche a risvegliare le nostre coscienze perché ciò che è accaduto non si ripeta. Non si ripeta per favore» sono state considerate da più parti, un naturale incipit, salvo però continuare a parlare del possibile ripetersi di morti in mare, per mancato soccorso, eventi peraltro già avvenuti.

Un’altra frase di Papa Francesco «chi è il responsabile del sangue di questi fratelli e sorelle? Nessuno! Tutti noi rispondiamo così: non sono io, io non c’entro, saranno altri, non certo io» non ha dato modo ai commentatori (di destra e di sinistra) di distinguersi; nessuno degli opposti schieramenti politico-culturali, ha ritenuto d’individuare le responsabilità. Tutti hanno lasciato intendere, sotto, sotto che la colpa del flusso migratorio fosse degli africani, incapaci di governarsi: razzismo puro, anche se non dichiarato.

L’omelia del papa, nel suo procedere, non ha concesso alcuna tregua all’esercizio del pensiero: «ritorna la figura dell’Innominato di Manzoni. La globalizzazione dell’indifferenza ci rende tutti “innominati”, responsabili senza nome e senza volto». Alcuni hanno parlato di globalizzazione, con superficialità.

Ma aldilà di tutto, la frase dalla quale tutti i commentatori si sono tenuti alla larga è stata la seguente: «ti chiediamo perdono per coloro che, con le loro decisioni, a livello mondiale hanno creato situazioni che conducono a questi drammi. Perdono Signore!».

Nessuno dei commentatori ha individuato un nesso  tra gli sbarchi e le decisioni prese a livello mondiale.

Per quale ragione giornalisti e analisti non si sono interrogati sulle ragioni che fanno fluire n Europa quest’emorragia continua di energie sottratte a tanti paesi dell’Africa?

Il pensiero, fondamentalmente razzista della cultura occidentale, in perfetta continuità con le motivazioni degli avi che legittimarono gli interventi in Africa decisi alla Conferenza di Berlino (1884) lasciano ora supporre che l’Africa sia solo retta da tiranni dai quali, naturalmente, i disgraziati africani che giungono in Europa, scappano.

Allora si dichiarava impunemente di lottare contro i selvaggi. Oggi, più elegantemente, ci si affida ad un lessico (apparentemente) più soft, abusando di termini come democrazia, magari da imporre in nome del terrorismo.

L’auspicio è che, in Europa, le persone di buona cultura e volontà, i politici, gli intellettuali, accettino di lavorare con i loro colleghi dei paesi dai quali provengono gli immigrati per trovare senza pregiudizi, possibili soluzioni.

Marilena Dolce

Marilena Dolce, giornalista. Da circa dieci anni viaggio verso il Corno d'Africa e da altrettanti scrivo ciò che vedo. Soprattutto per Eritrea ed Etiopia ma non solo. Dal 2012 scrivo per EritreaLive, notizie e racconti in diretta dall'Eritrea. Perchè per capire il mondo bisogna uscire dal proprio quartiere, anche solo leggendo.

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