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Etiopia, regione vulcanica Afar, uccisi e rapiti turisti europei. Nessun italiano tra le vittime

Marilena Dolce
04/04/12
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Lo scorso 17 gennaio gli indipendentisti afar (ARDUF, Afar Revolutionary Democratic Unit) hanno ucciso e rapito alcuni europei che si trovavano in un accampamento nelle vicinanze del vulcano Erta Ale nella Dancalia etiope.
All’attacco è sfuggito un gruppo di italiani con a capo il geologo Luca Lupi che ha raccontato i fatti in presa diretta per fare chiarezza su “errori” e “imprecisioni” riportate della stampa.
In realtà le notizie d’agenzia hanno ripreso esclusivamente i comunicati ufficiali del governo etiope che incolpa l’Eritrea di essere la longa manus degli afar, perché avrebbe “addestrato” i ribelli colpevoli dell’agguato.
L’Erta Ale, in quei giorni di gennaio, doveva essere una meta trafficata se Lupi, per evitare il sovraffollamento dei colleghi in “gita” (un centinaio) decide di modificare il programma.
Cosa c’entra in tutto ciò l’Eritrea?
Gli afar diffondono un comunicato, riportato solo dai media di opposizione al governo etiope e ignorato dalla stampa internazionale, in cui dichiarano che gli europei sono morti in un conflitto a fuoco con i militari etiopi che li avevano attaccati, che l’Eritrea non c’entra niente, che non vogliono uccidere ma trattare per ottenere migliori condizioni di vita nel loro territorio “federato” all’Etiopia.
Non è facile capire l’accaduto, ma la premessa è, abbandonato il punto di vista etiope, chiedersi chi siano gli Afar e cosa vogliano.
Il “triangolo degli afar”, in Dancalia, comprende una superficie di 150 km quadrati con 1.579.000 abitanti che geograficamente rappresenta la Great Rift Valley, cioè la propaggine settentrionale della spaccatura tettonica.
Nella parte più inospitale, 120 metri sotto il livello del mare, si apre un grande tavolato salino, (la Piana del Sale) largo circa 600 chilometri quadrati. In quest’area ci sono molti vulcani e l’attività geologica sembra essere sempre agli albori.
Gli afar, uno dei primi popoli arrivati in queste terre 2800 anni fa sono semi nomadi e da sempre vivono sparsi tra la depressione centrale, la costa lungo il Mar Rosso, la regione delle Alpi Dancale e le contese e fertili terre vicino al fiume Auasc. Politicamente la regione afar è divisa tra Eritrea, Etiopia e Gibuti, ma la maggior parte della popolazione vive in Etiopia. Questa situazione non facilita gli spostamenti, anche se non esistono vere e proprie frontiere.
I rapporti tra afar ed etiopi dell’altopiano sono sempre stati difficili. L’Etiopia, nel corso del tempo, ha alternato concessioni e richiami al governo centrale, avendo sempre chiara l’importanza dello sbocco al mare in terra dancala. Gli afar reagiscono ai soprusi depredando le carovane di merci che scendevano dall’altopiano verso il porto di Assab per poi risalire nell’entroterra. Già a fine Ottocento gli esploratori che visitano la zona scrivono che “in Dancalia nessuno lavora e si vive predando” (Nasbitt, La Dancalia esplorata).
La società afar è frammentata in clan con a capo sultani, tuttavia la popolazione ha un forte spirito di appartenenza etnica, un’unità linguistica, culturale e religiosa. La maggior parte sono musulmani, una minoranza è animista.
In caso di guerra gli afar non possono competere numericamente con l’Etiopia più forte, si abituano perciò a evitare lo scontro aperto e diventano guerrieri abili nelle imboscate, negli agguati. Imparano a maneggiare molto bene prima i pugnali ricurvi (Jilè) poi i Kalashnikov russi in dotazione all’esercito etiope.
Interessante e simbolico il loro rugby (korso), un gioco, come forse anche quelli occidentali, nato per esorcizzare lo scontro fisico in tempi di pace.

Menelik annette la Dancalia senza possederla. In tempi più recenti Heilè Selassie concede agli afar una discreta autonomia con lo scopo di mantenerli separati, chiusi al mondo esterno, esclusi dalla vita politica del Paese.
Nel 1940 la politica agricola di Heilè Selassie, reinsediatosi con il benestare delle potenze vittoriose, penalizza gli afar che perdono la regione ricca e fertile dell’Auasc data in concessione a una compagnia inglese per la coltivazione di cotone. Per quieto vivere il sultano riceve una piccola parte dei ricchi profitti del commercio del cotone ma la qualità della vita della gente afar peggiora e il malcontento è fortissimo.
Le violente carestie etiopi degli anni Settanta (1972-1973) che hanno cause climatiche, trovano una concausa negli errori nello sviluppo agricolo della regione ma il disastro si completa con la riforma agraria imposta da Menghistu nel 1975, dopo la caduta dell’imperatore Heilè Selassie. Lo stile sovietico non si concilia né con la vita nomade della popolazione afar né con il protocapitalismo del sultano.
Gli afar continuano a vivere al limite della sopravvivenza.
Oltre all’impossibilità di sfruttare la zona fertile accanto al fiume Auasc, essi si vedono sottrarre un’altra possibilità di lavoro e reddito, faticoso e durissimo, quello del sale.
La Piana del Sale è la zona, luce fortissima e paesaggio lunare, dove gli uomini afar estraggono e lavorano il sale che, prima di essere caricato su cammelli per essere venduto, è tagliato in lastroni chiamati ganfùr, per l’unità di misura da 4 chili che li contraddistingue.
I ganfùr forniscono sale all’Etiopia che riscuote alla dogana la “tassa sul sale” dalle carovane dirette sull’altopiano.
Come testimoniato dal report di Wikileaks, il sale è al centro delle richieste del gruppo ARDUF (Afar Revulotionary Democratic Unit) che nel 2007 sequestrano alcuni cittadini europei.
Gli Afar non sono solo “guerrieri” e predatori, quelli che vivono in Eritrea, sulla costa del Mar Rosso e sulle Isole Dahlak, sono anche pescatori.
Nel 2010 l’IFAD, Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo, ha sostenuto con 12,6 milioni di dollari il progetto dell’Eritrea per sviluppare la pesca e circa seimila famiglie afar hanno ricevuto un aiuto per formare cooperative e credito per comprare barche ed equipaggiamenti.
L’Eritrea nella zona costiera sta realizzando infrastrutture (pontili per l’attracco di navi e strade), incrementando la flotta di pescherecci e creando stabilimenti per la lavorazione del pesce; forse è questo “aiuto” dato agli afar eritrei che indispettisce chi li ha schiacciati in un’autonomia priva di sbocchi reali.

Marilena Dolce

Marilena Dolce, giornalista. Da circa dieci anni viaggio verso il Corno d'Africa e da altrettanti scrivo ciò che vedo. Soprattutto per Eritrea ed Etiopia ma non solo. Dal 2012 scrivo per EritreaLive, notizie e racconti in diretta dall'Eritrea. Perchè per capire il mondo bisogna uscire dal proprio quartiere, anche solo leggendo.

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