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Ferramenta eritrea

Marilena Dolce
02/03/15
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© Bruno Zanzottera, Parallelozero, Asmara, Medeber, il Caravanserraglio

© Bruno Zanzottera, Parallelozero, Asmara, Medeber, il Caravanserraglio

Meazza, storica ferramenta di Milano, con molte vetrine nella centrale Via San Sisto, chiude.

Così scriveva nei giorni scorsi il Corriere della Sera nelle pagine di cronaca cittadina.

Non c’è molto da stupirsi. La forma della città non è cambiata, è rimasta concentrica, però ora raggiungere il cerchio più interno è un’impresa; tra zone a traffico limitato, strisce blu e silos a pagamento, arrivare lì per fare acquisti pratici, non fashion, è follia.

Un bullone costerebbe una fortuna e, se un bullone ce lo si può mettere in tasca , quindi andare a piedi per comprarlo, non si può fare altrettanto con oggetti più pesanti per i quali serve la macchina.

Molti affezionati clienti perciò hanno desistito, preferendo negozi “Fai da Te” con ampio parcheggio, pur rimpiangendo i commessi di Meazza, comprensivi e pronti a istruire chi, per la prima volta, prova a sostituire una maniglia…

Alcuni vecchi negozi di ferramenta risalgono al primo dopoguerra, quando c’era parecchio da costruire e riparare perciò si compravano attrezzi dalle “premiate ditte”.

Sono gli stessi anni in cui molti italiani cercheranno lavoro in l’Africa Orientale, nella nuova colonia, l’Eritrea.

Ma se non erano militari che lavoro potevano fare laggiù?

L’agricoltura era una vicenda complicata, terre difficili da coltivare e ancor di più da espropriare per un governo che, reduce dalla sconfitta di Adua, non voleva impelagarsi in questioni che avrebbero portato a nuovi scontri.  Una buona possibilità di lavoro l’offriva il commercio, soprattutto ai molti piccolo borghesi che emigrano per migliorare la propria posizione sociale.

Nelle città e nei piccoli centri eritrei mancano “infrastrutture” per accogliere gli europei, cominciando dai negozi. Se per progettare la ferrovia bisognava essere ingegneri e per costruire case, almeno geometri, per diventare commercianti potevano bastare buona volontà e pratica. Così molti italiani diventeranno negozianti in Eritrea.

Si aprono botteghe alimentari, negozi di abbigliamento, di “tutto per la casa” e poi ferramenta, per sistemarla e agghindarla la casa e per far funzionare i laboratori e le officine.

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©EritreaLive, Mercato di Taulud, Massawa, negozio con l’insegna “Ferramenta”

Di tutto questo fervore l’Eritrea ha mantenuto le vecchie insegne.

Ancora oggi ci sono negozi  con  la scritta “ferramenta” in italiano, (pazienza se qualche “r” si è  persa nel tempo)  perché la parola è entrata nel vocabolario e sta accanto alla traduzione in tigrino.

Anche se la grande madre dei negozi di ferramenta è il Caravanserraglio di Asmara, nella zona di Medeber, il cui motto potrebbe essere, “nulla si crea, nulla si distrugge” tutto si trasforma.

E si aggiusta.

Durante un recente viaggio la montatura dei miei occhiali ha perso una delle viti che tengono la stanghetta. Panico, senza occhiali non leggo, come fare per lavorare? Un amico eritreo, con un sorriso mi ha detto: «dammeli, domani te li riporto sistemati».

L’indomani mattina gli occhiali erano perfettamente aggiustati anche se il mio amico non era soddisfatto, perché non aveva trovato la persona che secondo lui era la migliore per questi lavori. Rientrata in Italia, per sicurezza, ho portato gli occhiali dall’ottico che, dopo averli guardati, li ha infilati nella busta di carta per la riparazione.

Verdetto dopo una settimana: anche se la vite inserita non era quella “originale” la casa madre approva il lavoro che, hanno detto,  non avrebbe potuto essere fatto meglio. Uno a zero per l’Eritrea.

Marilena Dolce

Marilena Dolce, giornalista. Da circa dieci anni viaggio verso il Corno d'Africa e da altrettanti scrivo ciò che vedo. Soprattutto per Eritrea ed Etiopia ma non solo. Dal 2012 scrivo per EritreaLive, notizie e racconti in diretta dall'Eritrea. Perchè per capire il mondo bisogna uscire dal proprio quartiere, anche solo leggendo.

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